Il bar Fusco è stato per anni il cuore pulsante del Rione Sanità. Tutto ciò che accadeva in quel quartiere passava di lì, fossero persone, parole o fatti. Lui, Fusco, che io da buon settentrionale, chiamavo Signor Fusco, stava dietro la cassa ed era il capitano di quel piccolo bastimento nel mare agitato del quartiere. Cinquant’anni, poderoso di corporatura, chiudeva la cassa con un colpo del ventre prominente. Per chi avesse avuto tempo per ascoltarlo, aveva mille episodi da raccontare, con gli occhi che gli s’infiammavano di una luce vivida. Poteva essere la descrizione dell’oscuro esattore del Comune che veniva mensilmente ad ordinare chili di caffè e di zucchero per casa sua, in cambio di una sottaciuta denunzia per irregolarità nella gestione dell’esercizio o le varie appartenenze ai clan della zona di ognuno degli avventori, avventure personali incluse. Dal suo posto di guardia, non gli sfuggiva nulla. Fuori, la Chiesa di S.Maria della Sanità, offriva, nascite, matrimoni e funerali in continuazione dando luogo a spettacoli dalle coreografie atipiche e originali, che avrebbero fatto gola ad un regista. Fusco con un sorriso appena accennato, sfumato dall’ironia, accompagnava con brevissime allusioni e ammiccamenti ciò che non era lecito accompagnare con parole franche e chiare. Spesso si svolgevano in piazza regolamenti di conti. Una volta – raccontava - la vittima designata si era rifugiata nel suo negozio sotto il tiro dei sicari, che lo avevano braccato, nascondendosi dietro il banco del bar. Lui, Fusco, lo aveva tirato fuori a forza da quella posizione e messo alla porta. Dopo aver abbassato la saracinesca, aveva sentito il poveraccio cadere sotto i colpi delle mitragliette. Ma il Bar era salvo! Il bar Fusco era la mia sosta d’obbligo, di mattina, prima di iniziare l’ambulatorio, per il caffè di rito. Ricordo che una mattina trovai in piazza due Tir francesi che stavano montando apparecchiature cinematografiche per la ripresa di un film. Si era d’estate e avevano aperto ombrelloni variopinti, per preservare dal sole la troupe. Entrare nel bar e sentire parlare francese non è cosa di tutti i giorni. Un signore barbuto, enorme, vestito di uno scamiciato nero, chiacchierava con una ragazza in jeans ed un tecnico in tuta. Mi attardavo alla musicalità di quei suoni che mi rammentavano la mia città del cuore, Parigi. Ad un tratto afferrai un nome pronunciato dall’uomo in nero, che doveva essere il regista: -“Brigitte-”. Si, avevo sentito bene? Brigitte? Il nome che aveva infiammato le fantasie della mia gioventù. Possibile Brigitte a Napoli e alla Sanità? Qualche anno in più, ma doveva essere ancora una donna stupenda. Ben presto un altro gruppetto di addetti entrò nel bar e il suono di quel nome fu ripetuto più volte, intrecciandosi in un francese stretto e affatto comprensibile per me. Volgevano lo sguardo fuori, sorbendo il caffè, come se attendessero qualcuno che tardava a venire.
-“Fusco, ma girano con la Bardot ?”- la mia ansia era legata all’immaginativo e volevo una risposta affermativa ad ogni costo.
-“ Non so, dottore. Questa Brigitte deve essere l’attrice principale, perché la stanno aspettando con ansia per girare una scena in chiesa. Mi hanno detto che ha problemi di salute e tarda a venire dall’albergo”-.
Il tempo stringeva, in ambulatorio mi attendevano e me ne andai col suono di quel nome e con un dubbio non svelato. Il lavoro caotico e rumoroso qual è quello di un ambulatorio in quel quartiere mi coinvolse ben presto, tanto che finii per dimenticare l’accaduto. Ma a mattina inoltrata sentii un vociare insolito nella sala d’aspetto. Entrò la ragazza che mi fa da segretaria senza bussare. Aveva un viso teso, preoccupato.-“Dottore, ci sono quelli del cinema che chiedono se possono portare su l’attrice. Dicono che si sia sentita male durante la ripresa del film“
L’Attrice? Brigitte nel mio ambulatorio! Un’occasione inaspettata.
“Fai salire” e correre a cambiarmi il camice e darmi una ravviata ai capelli, uno spruzzo di deodorante: l’attesa! I pazienti restano muti e si accalcano sulle scale per vedere l’arrivo del personaggio insolito. Li vidi arrivare come un turbine: un gruppetto tra cui riconobbi il regista in nero e la ragazza in jeans che venivano verso di me a passo svelto con un fagottino tra le braccia, avvolto in un plaid multicolore. Lo posò sul lettino. Sentivo che mi guardavano e attendevano il mio aiuto di medico. Restai per un attimo sconcertato, anche perché da quell’involucro emanava un odore affatto piacevole. La donna mi precedette e svolse quel pacco che racchiudeva una bimba sui sei anni, pallida, esangue, immersa in un lago di diarrea. –“Docteur, ma petite Brigitte ha la dissenterie”