A CCUOPPO CUPO POCO PEPE CAPE. (In un cartoccio stretto poco pepe entra.) - E’ uno scioglilingua usato per dire che è inutile dare spiegazioni a una persona di mente limitata.
'A CUNZEGNA
‘A FEMMENA E’ COMM’ ‘A GATTA: SE TROVA SEMPE CU’ QUATTO PIERE ‘NTERRA. (La donna è come il gatto: si ritrova sempre con le quattro zampe a terra). [PROVERBIO NAPOLETANO]
‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO (LA CORDICELLA CORTA E LA TROTTOLINA SCENTRATA E BALLONZOLANTE) – Piú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo [trottolina di legno] a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando e producendo un suono del tipo tirití-tirité donde per onomatopea il napoletano tiriteppeto. [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
‘A GALLETTA ‘E CASTIELLAMMARE - E’ l’avaro. [SERGIO ZAZZERA (1999), "Modi di dire napoletani", Ed. Newton & Compton]
‘A SPORTA D’ ‘O TARALLARO – E’ la persona, o la cosa, costretta a continui spostamenti, come lo è il canestro del venditore ambulante di taralli.
‘A TAZZA ‘E CAFE’ – Prendiamo ad esempio le cassiere dei bar. Con la loro avvenenza certe cassiere potevano fare la fortuna di un locale. La bocca disegnata a cuore, i capelli vaporosi, le unghie laccate e, soprattutto, generose scollature che lasciavano intravedere turgide delizie, attiravano clienti a frotte. Una cassiera passata alla storia fu la famosa Brigida, protagonista dell’omonima canzone. Lavorava al “Caffè Portorico” in Via Sanfelice. A quanto pare, aveva modi bruschi per difendersi dagli importunatori, ma in realtà era come una tazza di caffè, amara in superficie e zuccherata in fondo. Con un po’ di pazienza, girando e voltando il tenace spasimante riusciva a farsi arrivare lo zucchero alle labbra. [GAETANO AFELTRA (2003) sul “Corriere della Sera”]
ACCADE - Il Nobel Renato Dulbecco presenta, a Sanremo, Nino d'Angelo che canta la canzone "Senza giacca e cravatta"! [VITO COPPA (1999)]
AGLIARO - Contenuto vaso di rame stagnato in forma di tronco di cono, con un’unica ansa arcuata, con base circolare o ovale ampia, collo stretto e bocca (con coperchietto incernierato) appena appena svasata atta a far defluire l’olio. Ne esiste anche un tipo con coperchio ad incastro e cannello erogatore; tale tipo però non è d’uso domestico, ma viene usato per solito dai pizzaiuoli che devono stare attenti a non eccedere nel consumo d’olio ed il cannello a beccuccio si presta meglio della bocca svasata a contenere l’erogazione dell’olio. L’etimo della voce a margine è dal latino ‘oleariu(m) → uogliaro → agliaro’. [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
[Nel cimitero, due becchini stanno riesumando le ossa di Yorick, morto ventitré anni prima, il buffone del re. Entrano il principe Amleto, che interroga uno dei due, con il suo amico Orazio]
AMLETO: Dammelo. ('Prende il teschio') Povero Yorick. Io lo conobbi, Orazio, un uomo di un'arguzia infinita, di una fantasia senza pari. Mille volte mi portò a cavalcioni sulle spalle, e ora come lo aborre la mia immaginazione! Lo stomaco mi si rovescia. Qui pendevano le labbra che baciai non so quante volte. Dove sono ora le tue canzoni, le facezie, le burle, gli scoppi d'allegria a cui faceva eco l'intera tavolata? Nessuno più da far ridere, con quella smorfia? E' umiliante. Affacciati allo specchio della mia bella, e devi dirle, dille che si dipinga quanto vuole, a questa apparenza dovrà venire: che ne rida, se può. [WILLIAM SHAKESPEARE (1600 circa), “Amleto”]
AMLETO: Miette cca! ('piglia ‘a capa ‘e morte') Yoricco, puveriello! Orà, i’ ‘o canuscette: n’ommo ‘e ‘na finezza ca nun teneva fine, ‘e ‘na fantasia eccezziunale! Mille vote me purtaje a cascecavuoglie 'ncopp'ê spalle e mmo comme 'o schifa 'o penziero mio! ’O vernecale me s’avota sotto e ‘ncoppa... Cca ce steva chella vocca ca vasaje nun saccio quanti vvote... (Yoricco!) che ffine ànnu fatto ‘e ccanzone toje, ‘e muttiette, ‘e ccuffiature e cchilli tricchitracche d’allería ca trascenavano tutta ‘a tavulata? Nisciuno cchiú po’ ridere cu chillu sturcio? È ccosa ca murtifica! Affàccete dô parlanfaccia d’ ‘a bbella mia e dincelle ca se truccasse quanto vo’ e ppo venesse cca: e vedimmo si po’ metterse a ridere! [Traduzione di RAFFAELE BRACALE (2010)]
AMORE
E’ il ritornello di una famosa canzone, composta il 1839 da Raffaele Sacco, ottico e improvvisatore napoletano. Il successo di quella canzone fu enorme, e può darne un’idea la ingenua affermazione del Settembrini nelle sue ‘Memorie’: . La musica fu attribuita al Donizetti, ma a torto. [GIUSEPPE FUMAGALLI (1894), “Chi l’ha detto?”]
ANNUNZIATA - La Casa Santa dell’ Annunziata istituzione benefica nata nel XIV secolo, insieme all'annessa Chiesa, come istituzione assistenziale per la cura dell'infanzia abbandonata fu ricostruita una prima volta nel XVI secolo in forme rinascimentali e poi nel XVIII secolo dopo un incendio, da Luigi e Carlo Vanvitelli. Dal monumentale cortile della Casa si accedeva alla "Ruota" lignea che era quella che accoglieva i bambini abbandonati che venivano introdotti in una sorta di tamburo di legno, di ovvia forma cilindrica e raccolti all'interno da monache e bàlie, avvertite dal suono della campanella annessa alla ruota, monache e bàlie pronte ad intervenire ad ogni chiamata. All'esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con un cartiglio dittante: "O padre e madre che qui ne gettate, alle vostre Limosine siamo raccomandati". All’interno proprio accanto alla bocca della ruota v’è una fontanella dove gli abbandonati ricevevano per mano delle medesime monache e bàlie, illico et immediate, appena raccolti, il santo Battesimo ed una sommaria prima abluzione. Gli ospiti dell'istituzione venivano chiamati "Figli della Madonna", "Figli d'Annunziata", o "Esposti" e godevano di particolari privilegi. Alcuni venivano trovati con al collo un foglio di carta con il nome dei genitori, o portavano con sé qualche pezzo d'oro o d'argento. Tutto quello che indossavano e qualsiasi segno particolare, veniva annotato in un libro, in modo da rendere piú facile in futuro un eventuale riconoscimento da parte dei genitori pentiti dell’abbandono . La "Ruota" con il suo triste fascino, era una delle piú note d'Italia e non venne piú utilizzata dal 22 giugno 1875. [RAFFAELE BRACALE (2010), comunicazione personale]
ANTUONO – Sant’Antonio è, nel dialetto napoletano, non il santo di Padova, ma Sant’Antonio Abate. Il nome si usava anche come traslato in senso di sciocco. [BENEDETTO CROCE cit. in GIOVANNI D’ELIA, “Campania Nostra”]
APPASSULIATELLA
[diminutivo di “appassuliata” (priva di vigore, ammorbidita, poco turgida come gli acini di uva passa)] (agg.)
- Nella canzone “ 'A vucchella” (testo di Gabriele D'Annunzio) la boccuccia di Cannetella era intesa poco turgida, molto morbida e quasi priva di vigoria.
CANNETELLA
[Nome proprio femminile]
- Diminutivo di “Cànneta” (Candida)
[RAFFAELE BRACALE (2011), Comunicazione personale]
AVIMMO PERDUTO A FELIPPO E Ô PANARO.
- Lo si dice di situazioni irrimediabilmente fallite. Filippo incaricato di consegnare il canestro al destinatario, se lo appropriò, dileguandosi. [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
- Ad litteram: abbiamo perduto Filippo e la cesta. Id est: ci abbiamo rimesso tutto: il capitale e gli interessi. Locuzione popolare, usata solo dalle persone anziane; essa ancora perdura nel parlato comune e rammenta una non meglio identificata farsa pulcinellesca di Antonio Petito nella quale un tal Pancrazio aveva affidato al suo servo Filippo una cesta di cibarie, perché la portasse a casa, ma il malfido servo, riuniti altri suoi pari si diede a gozzovigliare facendo man bassa delle cibarie contenute nella cesta, e temendo poi le reazioni del padrone evitò di tornare a casa lasciando il povero Pancrazio a dolersi del fatto con la frase in epigrafe. [RAFFAELE BRACALE, comunicazione personale]
A VITA ‘E LL’OMMO
[raccolti da RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
‘A VUCCHELLA
BARBARI - Ogni libreria che chiude diventa un varco per i barbari. E ogni libreria che apre sbarra loro la strada. Più che ovvio quindi, da parte nostra, l'auspicio che mai più le librerie debbano chiudere. Anzi, che tutte, dalle “mega” alle “micro”, nonché le bancarelle, anche quelle con sopra i cosiddetti "libri‑spazzatura" vivano sempre e siano incentivate a crescere e a moltiplicarsi. Dichiariamole tutte "beni culturali dello Stato" perché non solo non vendono prodotti tossici (fumo, alcool, armi, droghe, ecc.), ma svolgono tutte, ciascuna a modo suo, un servizio di tipo sociale: contribuiscono a sconfiggere la barbarie. Così, come le medicine combattono le malattie i libri combattono l'ignoranza e le relative degenerazioni. Una proposta potrebbe essere quella di mettere i libri allo stesso livello dei prodotti farmaceutici, con tutti i benefici che lo Stato e le Istituzioni elargiscono per tali prodotti. [GAETANO COLONNESE, nota a “Guida alle librerie di Napoli”]
BAZZARIOTA - Voce antica e desueta che in origine indicò un rivenditore girovago, un treccone cioè un venditore al minuto di generi alimentari (specialmente verdure, legumi, uova, pollame ecc.); rivendugliolo cioè chi rivende al minuto, per lo piú cibo o merci di poco conto, in baracche o con carrettini | (spregiativo) venditore disonesto; poi per ampliamento semantico indicò il perdigiorno, il briccone, il giovinastro sfaccendato (detto alibi icasticamente ‘stracquachiazze’ e cioè propriamente il bighellone aduso ad un cosí lungo, continuo, ma inconferente girovagare tale da addirittura consumare, stancar le piazze; di per sé il verbo ‘stracquà’ che forma la voce ‘stracquachiazze’ unito con il sostantivo chiazze plurale di chiazza (= piazza dal latino platea) indicherebbe lo spiovere, il venir meno della pioggia, ma nel caso di stracquachiazze estensivamente sta per il venir meno… delle forze o della consistenza strutturale delle ipotetiche piazze calpestate, senza tregua dal perdigiorno o dal bazzariota di turno; quanto all’etimo bazzariota deriva dall’arabo bazàr = mercato attraverso un greco moderno bazariotes o pazariotes = mercante, negoziante. [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
BIGLIETTO - A Napoli, in un autobus, il controllore ha contestato a un tossicodipendente il fatto che il biglietto fosse del giorno prima. Quello, barcollando, con voce lenta, gli ha risposto: - "E tu pecchè si venuto oggi?"
BOTTEGAI - Orefice, gioielliere (che nel napoletano ànno il corrispondente in ‘arefice’), salumiere (che nel napoletano à il corrispondente in ‘casadduoglio’), o merciaio (che à nel napoletano i corrispondenti in ‘zarellaro/zagrellaro/zagarellaro’). [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
BRUTTA E MAL FATTA - Essere corta e male ‘ncavata. (essere di bassa statura e mal fatta come gnocchi non ben riusciti)
CACCIOPPOLI E CASABLANCA (PLAY IT, SAM) Nel 1938 il matematico napoletano Renato Caccioppoli, alla storica birreria Löwenbräu di piazza Municipio a Napoli, sente un gruppo di fascisti cantare ‘Faccetta nera’. Prende allora il posto del pianista ed intona per sfida la Marsigliese. Quattro anni dopo, nel celeberrimo film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, c’è una scena in cui uno dei capi della resistenza, Victor Laszlo, interpretato da Victor Henreid, riesce a zittire i gerarchi nazisti ed a sovrapporre al loro inno quello francese. Di qui, la affascinante coincidenza che l’episodio cinematografico si sia ispirato a quello reale: la Marsigliese, a quei tempi, come simbolo di libertà, era più popolare di 'Torna a Surriento' e le probabilità che venisse intonata come sfida ai nazifascisti aumentano, anche se il cognome degli autori della celeberrima canzone napoletana, Giambattista ed Ernesto De Curtis, ha un’assonanza con quello del regista del film, Michael Curtiz, che ci indurrebbe ad illazioni incantevoli. [LUIGI VEROLINO (2011), Comunicazione personale]
CANZONE MARENARA
CENSURA – Domenico Modugno, censurato dalla Rai nel 1957 per la canzone ‘Resta cu’mme. Per cantarla dovette rinunciare al verso “Nun me ‘mporta d’o passato / nun me ‘mporta ‘e chi t’ha avuto”, che diventò “Nun me ‘mporta si ‘o passato / mille lacrime m’ha dato”. [da: MENICO CAROLI, “Proibitissimo”]
CERASELLA
CIUCCIO - 'O ciuccio che se crede cervo, quando va pe' zumpà 'o fuosso se ne addona. [PROVERBIO]
CONTRORA (s. f.) Sono le tre di un pomeriggio d’estate. Il sole è impietoso. L’ombra on esiste o forse è solo un’illusione ottica, dal momento che non provo alcun sollievo nemmeno a restare seduto sotto un ombrellone degli chalet a Mergellina. A Napoli si chiama ‘controra’. Il termine sta a indicare che si tratta di un’ora contraria, cioè di un’ora che dovrebbe essere vissuta come un’ora della notte: a letto e nel buio di una stanza. L’orario unico è stato inventato nei paesi senza sole. [LUCIANO DE CRESCENZO (1977), “Così parlò Bellavista”]
COPPATURA [dal napoletano 'n coppa ‘in cima, sopra’] - Trucco commerciale consistente nel coprire merce scadente con uno strato di merce buona. [dal Vocabolario ZINGARELLI]
CORNA - Corna ‘e mamma, corna sante; corna ‘e nnammurate, corna arraggiate; corna ‘e marito, corna sapurite; corna ‘e pariente, corna d’argiento; corna ‘e sora, corna d’oro; corna ‘e muglièra, corna ovère.
(Corna di mamma, corna sante; corna di innamorati, corna arrabbiate; corna di marito, corna gustose; corna di parenti, corna d’argento; corna di sorella, corna d’oro; corna di moglie, corna autentiche)
CU 'NA BBONA SALUTE ... PE CCIENTO ANNI - Cu e pe vanno scritti senza alcun segno d'apocope; con l'apocope (') in lingua napoletana si segnalano le cadute di sillaba, non quelle di semplici consonanti che non si segnalano; cu viene da cum e pe viene da per; è inutile e pleonastico dunque segnalare la caduta di m e di r. [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
CUOPP’ ALLESSE – Donna sgraziata, paragonata all’involto che contiene le castagne lesse, fatto frettolosamente con carta di giornale che si ingrossa sui lati per l’umidità del contenuto.
CUNTRORA [dal latino 'contra hora' (ora contraria, avversa nel senso di inadatta al lavoro, all’applicazione e quindi da destinarsi al riposo] (s. f.) Indica quel lasso di tempo a ridosso dell’ora meridiana, quando – specie in estate – il sole picchia piú forte e le ore sono piú calde; poiché nel meridione si è soliti pranzare intorno al suddetto orario meridiano e far seguire al pranzo il riposo, la siesta, che si fa proprio nelle ore piú calde e meno adatte al lavoro, ecco che il termine 'cuntrora' è passato ad indicare non piú solo un certo lasso di tempo, quanto la confortevole stasi cui si è soliti dedicarsi in quel lasso di tempo: la siesta, il riposo. L’inizio di tale 'controra' era annunciato da nove tocchi di campane; ora premesso che anticamente il lavoro degli operai alle dipendenze d’un 'si’ masto' (signor maestro/padrone) o di operaie alle dipendenze d’ una 'sié maesta' (signora maestra/padrona) si svolgeva quotidianamente nei giorni tra la festa di san Giuseppe ed il primo lunedí di ottobre dalle sei del mattino sino alla mezzanotte, mentre negli altri mesi veniva svolto sino a due ore dopo la mezzanotte, la controra, riservata ad un breve riposo ed un modico asciolvere, si protraeva tra le ore 14 e le 16 o tra le 17 ed un’ora dopo il tramonto. Successivamente fu attribuito al generico riposo postprandiale, non solo a quello che si prendevano gli/le operai/e per sbocconcellare una loro merenda. [RAFFAELE BRACALE (2010), Comunicazione personale]
DETERMINAZIONE DELLA DONNA - Quann’ ’a femmina vo’ filà, fila cu’ ‘o spruoccolo. (Quando una donna vuole filare è capace di farlo anche con un legnetto.)
DIETA
DONNA PAZZA E UOMO FESSO - ‘A femmena pe’ l’ommo addeventa pazza; l’ommo p’ ‘a femmena addeventa fesso.
EDOARDO DI CAPUA (1865 -1917) – Insieme al poeta Giovanni Capurro e grazie alla loro ‘O sole mio’ è considerato uno dei massimi ambasciatori della canzone napoletana nel mondo. Un pezzo mondiale (suonato addirittura alle olimpiadi di Anversa del 1920 dopo che la banda ha perso lo spartito dell’inno nazionale italiano), nato mentre il musicista si trova a Odessa, in Crimea, assieme al padre (il violinista Giacobbe, anch’egli musicista ed apprezzato posteggiatore) impegnato in una tournee. Forse un po’ di nostalgia in un paese dal cielo sempre coperto, forse addirittura l’occasione di fare qualcosa nelle lunghe pause tra uno spettacolo e un altro; fatto sta che avendo con sé il testo dell’amico Capurro si mette al pianoforte e compone la celebre melodia. (…) La miseria diventa sempre maggiore ed inutili saranno le sue speranze legate quasi maniacalmente al gioco del lotto che finirà per assorbire le già scarse finanze. Un giorno confida alla moglie che “morirà quando sarà costretto ad abbandonare il pianoforte”. E così sarà. Costretto a vendere il suo inseparabile mezzo di lavoro muore poco dopo all’ospedale Elena d’Aosta, solo e dimenticato, proprio lui, l’autore delle musiche della più celebre canzone napoletana di tutti i tempi. (‘O sole mio’; (…) ‘Maria Marì’; ‘I’ te vurria vasà’; ‘Torna maggio’; ‘Rosa ‘e maggio’) [BRUNO ABBISOGNO (1991), “La canzone napoletana”, Ed. Rossi]
ENZO FUSCO (1899 – 1951) – Il successo arriva con l’indimenticabile ‘Dicitencelle vuie’. Impiegatosi nelle Ferrovie si ammala di tumore nel 1951 e viene ricoverato al Vecchio Policlinico da dove, in un profondo attimo di sconforto, si suicida gettandosi dalla finestra della sua camera. [BRUNO ABBISOGNO (1991), “La canzone napoletana”, Ed. Rossi]
‘E RECCHIE ‘E PULICANO – Il pulicano è il pellicano volatile che l’iconografia eucaristica cristiana mostra, simbolicamente, nell’atto di strapparsi le carni con il becco, per cibare i figli, dei quali raccoglie, anche a grande distanza il pigolio, tanto fine è il suo udito. “Tene’ ‘e rrecche ‘e pulicano” equivale, dunque, ad “avere ottimo udito”. [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
ESPATRIO A VITA - Non sapete quante volte ce lo siamo detti, poi mi affaccio dal terrazzo di casa mia e guardo il mare, la mia Capri, il Vesuvio, Sorrento e così via, e mi dico: “ma addò vaco”. [PEPPINO DI CAPRI (2011) sul “Corriere del Mezzogiorno”
ESTASI - Un modesto signore dopo aver assistito a un concerto di Sergio Bruni lo ha avvicinato commosso dicendogli: "Maestro, mo pozzo pure murì" [PASQUALE SCIALO’ (1995), "La canzone napoletana", Ed. Newton & Compton]
FÀ ‘E SSETTE CHIESIELLE - Letteralmente: “Visitare le sette chiesine” ovvero per traslato - andarsene in giro per le case altrui senza uno specifico motivo, ma solo per il gusto di intrattenersi negli altrui domicili, nella speranza - magari - di scroccare un pranzo, o quanto meno un caffé che a Napoli non si rifiuta a chicchessia. Detto anche di chi, prima di decidersi a fare un acquisto visita innumerevoli negozi per informarsi dei prezzi dell’articolo cercato, per confrontarli e metterli a paragone. Originariamente le sette chiese della locuzione sono sette bene identificati luoghi di culto e cioè nell’ordine: Spirito Santo, San Nicola alla Carità, San Liborio alla Pignasecca, Madonna delle Grazie, Santa Brigida, San Ferdinando di Palazzo e San Francesco di Paola, quelle chiese cioè che tutti i napoletani andando dalla odierna piazza Dante (anticamente Largo del Mercatello) a piazza del Plebiscito (l’antico Largo di Palazzo) percorrendo la centralissima strada di Toledo, sono soliti visitare durante il c.d. “struscio” la rituale passeggiata che si compie il giovedì santo , durante la quale si “visitano” i c.d. “sepolcri” ovvero le solenni esposizioni dell’Eucarestia che si tengono in ogni chiesa di culto cattolico. [RAFFAELE BRACALE (2005), comunicazione personale]
Fà QUATTE CIAPPETTE – (Fare quattro ‘ciappette’, compiere un lavoro in maniera rabberciata e disimpegnata) Nelle isole al largo di Napoli, dove l’espressione nacque, s’usò dire “Sapé fà quatte scippe sciappe” con riferimento a chi avesse imparato a fare appena pochi tratti di penna (scippi) e si vantasse, chiaramente a torto, di essere molto istruito. Quando poi l’espressione approdò a Napoli fu trasformata in “Sapé fà quatte cippe ciappe” e ciò perché probabilmente le voci ‘scippe sciappe’ (di cui la seconda non corrispondeva né ad un oggetto, né ad una idea, ma era stata ricavata da ‘scippe’, plurale di scippo, nel senso però di tratto di penna e non di graffio), furono intese come originarie ‘cippe’ e ‘ciappe’, ma poiché i concetti che gli originarii ‘scippe’ ‘sciappe’ dovevano rappresentare erano concetti riduttivi e negativi, si pensò – a ragione forse – che non avevano senso le esse intensive e ‘scippe sciappe’ divennero ‘cippe ciappe’; allorché poi ci si rese conto che al derivato ‘cippe’ non si poteva collegare alcun oggetto reale o concetto comprensibile si preferí eleminar tout court quel ‘cippe’ e mantenere solo quelle residuali ‘ciappe’ (in origine ‘sciappe’) divenute quasi per magia corrispondenti ad un oggetto reale (fibbie, fermagli, borchie) e dovendo esse ‘ciappe’ esprimere concetti negativi e riduttivi, se ne fece il diminutivo ‘ciappette’ e l’espressione diventò “Sape fà quatte ciappette” che vale saper fare quattro insignificanti cosucce e menarne vanto quasi si trattasse di cose pregnanti e/o importanti, che è poi l’atteggiamento tipico d’ogni saccente e supponente. [RAFFAELE BRACALE (2008), comunicazione personale]
FIGLIA - Chi bona razza vo’ fa’ cu’ ‘a femmena adda accumincià.
FISCHIATORI - Coloro cioè che non avendo alcuna cognizione musicale fischiettano a un trascrittore, che lo annota sul pentagramma, il motivo da loro ideato. E non è, si badi bene, che questa produzione sfiguri o raggiunga un minore livello di popolarità. Si pensi per esempio al caso di Salvatore Gambardella (1871-1913) che ha fornito la melodia a canzoni straordinarie come "‘O Marenariello", "Ninì Tirabusciò", "Comme facette mammeta’?", "Lilì Kangy", "Quando tramonta ‘o sole" e tante altre. Il suo componimento "Furturella", che contiene una lunga scala cromatica discendente, colpì Puccini a tal punto da indurlo a inviare al "Maestro" i suoi cordiali complimenti attraverso amici comuni. E grande fu il suo stupore quando apprese che il Nostro non aveva nessuna cognizione musicale. [PASQUALE SCIALO’ (1995), "La canzone napoletana", Ed. Newton & Compton]
FRANCISCHIELLO – Francesco II di Borbone, del quale il napoletano ridicolizza sia le forze armate di terra – ‘L’esercito ‘e Francischiello’, sorta di armata Brancaleone – sia quello di mare – ‘ ‘A nave ‘e Francischiello’, sulla quale ‘a prora se cumbatteva e a poppa non se sapeva’. [SERGIO ZAZZERA, “Filastrocche napoletane e altro”]
GAY ODIN - I cioccolatini assortiti, ieri come oggi, sono racchiusi in scatole di cartone con caratteri di sapore liberty e stampa in blu di Prussia o di latta che sanno d'antico. (…) Le origini riportano al piemontese Isidoro Odin e a sua moglie Onorina Gay, dalla prima “boutique” in via Toledo di fine Ottocento, all'apertura della fabbrica nel 1922, considerata oggi monumento nazionale, fino ai sette punti vendita distribuiti in maniera capillare sul territorio cittadino nel secondo dopoguerra, cui si aggiungono quelli di Roma e Milano. [FUANI MARINO (2010) sul “Corriere del Mezzogiorno”]
GENERALIZZAZIONE – Sono stato a Napoli a vedere una mostra sugli squali e ho imparato a non generalizzare. Tutti noi siamo convinti che i pescecani siano delle bestie ferocissime e che, a incontrarli per mare, ci si rimette come minimo una gamba. Ebbene le cose non stanno così. In Natura esistono 370 specie di squali, alcuni enormi, lunghi come autobus, altri piccoli come matite, alcuni veri e propri assassini, altri, invece pacifici che si nutrono solo di plancton, e altri ancora che aggrediscono l’uomo solo se vengono disturbati. Insomma ce ne sono di tutti i tipi. I più feroci sono lo squalo bianco, lo squalo tigre, lo smeriglio e pochissimi altri. Una minoranza, comunque, rispetto all’enorme varietà di squali esistente al mondo (…) Tre notti prima dell’inaugurazione, alcuni ladri sono entrati nel palazzo e hanno rubato tutto quello che c’era da rubare. Non gli squali vivi, ovviamente, ma i proiettori, gli schermi, gli altoparlanti e le videocassette con le riprese degli squali in azione. L’assistente del dottor Recchi, la signorina Carlotta, ha sporto denuncia ai carabinieri ma, una volta tornata in strada, non ha trovato più la sua auto; gliel’avevano rubata. Ho immaginato Alberto Luca Recchi fuori di sé per la rabbia e incavolato contro tutti i napoletani, e invece l’ho trovato quasi divertito. Non commettere l’errore, mi ha detto, di generalizzare. Come fra 370 specie di squali solo alcuni sono pericolosi così tra un milione di napoletani solo pochissimi sono mariuoli. Le statistiche dicono che le percentuali della criminalità sono pressoché uguali in tutti i paesi del mondo, tranne a Washington, dove il numero dei reati è molto più alto delle altre città. E’ sbagliato, quindi, dire che i napoletani sono ladri, che gli albanesi sono delinquenti e che i palestinesi sono kamikaze. Giudichiamoli come facciamo per i pescecani: alcuni sono cattivi, e altri, grazie a Dio la maggioranza, buonissimi. [LUCIANO DE CRESCENZO (2003) sul “Corriere della Sera”]
GIA’ SPOSINA - ‘A bella nasce maritatella.
GILDA MIGNONETTE – Aveva per tanti anni portato a tutti i napoletani d’America la voce, il cuore di Napoli. (…) Povera Mignonette, anni dopo volle morire a Napoli, e mentre il piroscafo entrava nel porto di Napoli, la portarono alla prua. Nel guardare la sua Napoli che si avvicinava, morì. [VITTORIO DE SICA, “La porta del cielo. Memorie 1901–1952]
GIORNALISTI - Ho scritto venti libri su Napoli, migliaia di articoli, sono napoletano da 5.000 anni: resto sempre molto sorpreso quando arriva un giornalista del Nord che in pochi giorni o in pochi mesi pretende di scoprire quel che io non ho visto in 72 anni. [risposta di DOMENICO REA a Giorgio Bocca]
GIUSEPPE DELL’AQUILA (1887-1982) – A lui è soprattutto legato un aneddoto grottesco e macabro che forse gli ha regalato più fama delle canzoni scritte. E’ il dicembre del 1904 e Dell’Aquila stramazza a terra colpito allo stomaco dopo un violento litigio. Condotto all’ospedale viene dichiarato morto e sistemato nella sala mortuaria. Rimandate le esequie, nella notte successiva il poeta si risveglia dalla catalessi e si ritrova nella non piacevole situazione di essere circondato da alcuni cadaveri nell’obitorio del nosocomio. Preso dal terrore scappa ferendosi la testa contro una porta. Raggiunta la propria abitazione provoca un enorme spavento ai parenti che lo piangevano morto e che tengono a lungo sbarrata la porta di casa.[BRUNO ABBISOGNO (1991), “La canzone napoletana”, Ed. Rossi]
GIUSTIZIA - Non c’è un Palazzo di Giustizia in cui il chiasso dei litiganti e loro accoliti superi quello dei Tribunali di Napoli. Lì si vede la Lite calzata e vestita. I soli scrivani formano un piccolo esercito schierato in battaglia. [MONTESQUIEU (1729)]
GRAVIDANZA - Pregnanza ogne male scanza.
GRAZIOSA - ‘A femmena aggraziata vo’ essere priata. (La donna graziosa vuole farsi pregare.)
GUANTIERA – Nata come vassoio che, retto dalla servitù, era destinato ad accoglierei i guanti degli ospiti, è passata a identificarsi con ogni genere di vassoi. [SERGIO ZAZZERA, “Filastrocche napoletane e altro”]
GUI! GUI!
IGIENE:
- Che Napoli sia bella, è cosa nota; la vista che ho dinanzi mentre scrivo, il golfo intero dal lato del Vesuvio fino alla punta di Posillipo, è davvero degna d’ammirazione. La gente però è orrenda, spesso rivoltante, ha l’aspetto di schiavi da galera. Spettacolo e sudiciume sono come nel Medioevo. [SIGMUND FREUD (1902) da una cartolina alla moglie]
- Il Marchese de Sade denunciava come via Toledo fosse “una delle più belle che sia dato vedere” però “fetida e sudicia” e davanti a tanta bellezza esclamava. “In quali mani si trova, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?” [cit. da GIAN ANTONIO STELLA sul “Corriere della Sera”]
- (a Napoli) la gente è sudicia nelle abitudini quotidiane e ciò rende sporche le strade e produce viste e odori sgradevoli. [attribuita a MARK TWAIN]
INCINTA - Ancora non è prena Marianna e già hanno spase ‘e fasciature.
I’ TE VURRIA VASA’
LAVINAIO
- ‘E femmene d’ ‘o Lavenaro: scenne ‘o marito e saglie ‘o cumpare. (Le donne del Lavinaio: scende il marito e sale l’amante.) [RENATO DE FALCO (1994), “La donna nei detti napoletani”]
LEVATE ‘A CAMMESELLA
- BUSTO, GUEPIERE - Curzè (s. m. inv.)
- GIARRETTIERA - Taccaglia (s. f. - pl. 'taccaglie') [abbreviazione di 'attaccaglia', deverbale di 'attaccare']
- REGGICALZE - Rejecauzette (pronuncia: reiecauzètte) (s. m. inv. - pl. 'e rejecauzette)
- REGGISENO - Rejezizze (s. m. inv.)
- SLIP FEMMINILE - Cazunettella [femminile di 'cazunetto' = mutande da uomo] (s. f.)
[RAFFAELE BRACALE (2010), Comunicazione personale]
MANNÀ A ACCATTÀ ‘O TTOZZABANCONE (oppure MANNÀ A ACCATTÀ ‘O PPEPE) - Ad litteram: mandare a comprare l'urtabancone oppure mandare a comprare il pepe. Anticamente nei quartieri popolari di Napoli, quando le famiglie erano numerose, in ogni casa si aggirava un gran numero di bambini, la cui presenza impediva spesso alle donne di casa di avere un improvviso incontro ravvicinato col proprio uomo. Allora, previo accordo, qualche bottegaio (salumiere, droghiere) del rione si assumeva il compito di intrattenere, con favolette o distribuzione di piccole leccornie i bambini che le mamme gli inviavano con la frase stabilita di accattà 'o tozzabancone oppure di accattà ‘o ppepe, pepe che in quanto merce veramente esistente al contrario dell’inesistente tozzabancone, veniva spesso fornito realmente dal bottegaio. Altri tempi ed altre disponibilità! [RAFFAELE BRACALE (2010), comunicazione personale]
MATRIARCATO:
- Meglio essere pariente d’ ‘a cana ca d’ ‘o cane.
(Meglio essere parenti della sposa che dello sposo .)
- ‘E pariente d’ ‘a vunnella tràseno tantu bello.
(I parenti della sposa entrano con facilità nella casa degli sposi.)
- Chi è parente d’ ‘a còppola va p’a casa e’ ntròppeca; chi è parente d’ ‘o muccatùro va p’a casa e va sicùro.
(Chi è parente dello sposo, gira per la casa degli sposi e incespica; chi è parente della sposa gira per la casa con sicurezza.)
NAPOLI:
- Città incredibilmente chiassosa, perfino nelle chiese. [WOLFGANG AMADEUS MOZART (viaggio in Italia, 1770)]
– La città più bella dell’universo. [attribuita a STENDHAL]
- Parmi un bel porcile. [LUGI PULCI (1432-1484)]
NAPULE CA SE NE VA
‘NGRAZI’ ‘E DDIO - Con la perifrasi ‘ ‘ngrazi’ ‘e Ddio’, poi, non s’intende fare riferimento allo stato di chi sta confessato e comunicato, bensì a una più laica situazione d’assenza di preoccupazioni. [SERGIO ZAZZERA, “Filastrocche napoletane … e altro]
NOTTE - Ha da passa’ ‘a nuttata. [EDUARDO DE FILIPPO, “Napoli milionaria”]
NUBILE E SPOSATA
NULLIPARA - Nun ji pe’ cunziglio da ‘a femmena senza figlie. (Non domandarle consigli.)
‘O GALLO ‘NCOPP ‘A MUNNEZZA – Lo fa il presuntuoso che, dandosi delle arie, affatto ingiustificate, si mostra simile a un gallo impettito, erto sulla sommità di un cumulo di rifiuti. [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
‘O MAMMONE
‘O MARENARIELLO
‘O SUSPIRO
nu’ ‘nzapone e guarda a te? Mentre ‘o cliente ‘a coppa ‘a seggia zompa e dice: “Ma chi è’?”.
[Versi di NISA (NICOLA SALERNO) - Musica di RENATO CAROSONE (1957)]
ORIGINE - E’ nel ‘200 che molti fanno risalire l’inizio ufficiale della storia della canzone napoletana. Quando cioè dalle colline del Vomero, tra castagni e ruscelli, le lavandaie di Antignano fanno giungere alla città i versi di una cantata che ha già in sé le caratteristiche del fenomeno esploso sei secoli dopo: ironia, amore, dispetto, drammaticità e persino nostalgia. Trionfano le serenate e soprattutto le mattinate. Succede un po’ dovunque ma a Napoli sono tali e tante da far emettere a Federico II nel 1221 un decreto di proibizione giustificato dalle continue proteste dei cittadini “impossibilitati a dormire”. [BRUNO ABBISOGNO (1991), “La canzone napoletana”, Ed. Rossi]
PASTORA - Il maestro Ferrigno di Via San Gregorio Armeno ha introdotto la lingerie nel presepe napoletano, creando la pastora Michela Vittoria Brambilla, seduta in minigonna con calze autoreggenti. (2007)
PACCHIANO
- Villano, rozzo, “cafone”: il termine deriva probabilmente dal latino ’paganus’ contadino, abitante nel ‘pagus’ o villaggio. [GIOVANNI D’ELIA, “Campania Nostra”]
- Con molta più probabilità oggi si ritiene che pacchiano sia un deverbale di pacchiare = mangiar con ingordigia (a sua volta verbo di origine onomatopeico); da pacchiare è scaturita pacchia che con il suffisso di appartenenza aneus à dato pacchiano! [RAFFAELE BRACALE (2007), comunicazione personale]
PE GGHIONTA ‘E RUOTOLO (Letteralmente: per aggiunta del rotolo) È espressione da intendersi in senso ironico se non sarcastico; corrisponde all’incirca a 'come se non bastasse!'. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il 'rotolo' era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario, ad 890 grammi; era cioè una misura di per sé già scarsa rispetto al chilogrammo pieno, con il quale successivamente si presero a misurare le derrate alimentari bastevoli ad una famiglia (il cui nucleo) era in genere di sei persone; spesso però per graziosità i venditori di generi alimentari erano soliti aggiungere un piccola quantità di derrata, data quale giunta del rotolo, per sistemarne il peso, ma piú spesso per farlo eccedente e portarlo a sfiorare i mille grammi auspicati.
L’espressione s’ebbe poi una sua valenza negativa quando fu usata a commento di situazioni sfavorevoli, peggiorate da interventi malevoli e/o proditorî di chi si prendeva il gusto di intervenire non invitato, né richiesto nelle faccende altrui di per sé già avverse per rovinarle definitivamente.
La voce 'ruotolo' = unità di peso non va confusa con 'ruoto' = teglia. Per curiosità storica rammento che il 'rotolo', come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Reame delle Due Sicilie. Ancora ricordo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba 'rate', trasformazione a sua volta della parola greca 'litra', che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la 'litra' divenne poi in epoca romana 'libra' (libbra) che vive ancora in Inghilterra col nome di 'pound' ed indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano. [RAFFAELE BRACALE (2011), Comunicazione personale]
PENSIERO - Chi penza troppo, more ampressa. (Chi pensa troppo, muore presto.)
PEZZOTTATO – A Napoli domina l'etnico “pezzottato”: c'è il ristorante greco il cui titolare si vanta di non essere mai stato in Grecia, e quello cinese lestamente travestitosi da giapponese al tempo dell'aviaria. Una volta entrai in un ristorante rumeno tipico, chiesi quale fosse la specialità: “Pasta e fagioli”, fu la risposta. [ANTONIO FIORE (2009) su “Corriere del Mezzogiorno” (Economia)]
PICCERILLE
L’uommene songo comme ‘e piccerille,
e vonno sempe ‘mmocca ‘nu zezzillo,
li femmene ca ‘o sanno se l’assettano ‘nzino,
e tutto se fernesce a tarallucce e vino.
[ROBERTO DE SIMONE (1976), “La gatta cenerentola”]
PIGLIARSE ‘E PENZIERI D’O RUSSO – Preoccuparsi con pensieri inutili di situazioni che non dovrebbero riguardarci. Giovan Battista Basile narra nelle "Muse napolitane" di un celebre ladro (soprannominato ‘O Russo, per il colore dei capelli) il quale si lamentava del fondo stradale sconnesso che scuoteva il carro che lo trasportava al patibolo.
PLEBE – La plebe napoletana è molto più plebe delle altre. [attribuita a MONTESQUIEU]
POVERO MADONNA – La lingua napoletana mantiene distinto il concetto di ‘povero Ddio” (= it. “povero Cristo”) che è la vittima della sorte avversa, da quello di ‘povero Madonna’ che è chi sia vittima dell’accanimento del proprio prossimo. [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
PRIMATO - Ci sono più grattacieli nel Centro Direzionale di Napoli (Il più grande centro direzionale d'Europa!), che in tutto il resto d'Italia. [VITO COPPA (1999)]
"PSICOLOGGÌA" - 'A psicologgìa è 'a scienzia ca studia 'a mente e 'o cumpurtamento 'e ll'ommo e 'e ll'animale.
'A parola "psicologgìa" vene 'a lengua greca antica: psyche vuleva dicere "anema", ma pure "palummella" ca asceva 'a vocca a perzona ppe ttramente ca mureva comme se vìre pittate 'ncoppa a cierte antiche vase grieche. [VITO COPPA (2007)]
QUESTO E’ QUANTO. – Chest’è ‘a zita e se chiamma Sabella. (ragazza)
RAMMAGGIO - (dal più classico “dammaggio”) indica nella lingua partenopea il danno patito ed arrecato sia in senso materiale che morale. Per ciò che attiene la sua etimologia bisogna accettare quella che più verosimilmente fa risalire il vocabolo ad un termine del latino parlato e cioè a “damnajjum” a sua volta derivante da “damnum”. [RAFFAELE BRACALE (2005), comunicazione personale]
REGGIA DI CASERTA - Una delle creazioni planimetriche più armoniche, più logiche, più perfette dell'architettura di tutti i tempi [GINO CHIERICI (1930), “La reggia di Caserta”]
SALVATORE DI GIACOMO (1860 – 1934) – “Il più grande poeta napoletano” secondo la critica più classica. (…) Si iscrive all’Università, facoltà di Medicina. L’abbandona nel 1880 per vivere i quaranta anni più fecondi della canzone napoletana. Durante gli studi universitari scappa in preda al panico da una sala settoria dove un professore sta effettuando una autopsia. Sulle scale si scontra con un bidello che trasporta un secchio contenente le membra di un cadavere che finiranno in terra. [BRUNO ABBISOGNO (1991), “La canzone napoletana”, Ed. Rossi]
SAN CARLO - E’ il teatro più bello del mondo. [RICCARDO MUTI (2009) sul “Corriere della Sera (Documenti)”]
SAN GIUSEPPE ‘NCE HA PASSATO ‘A CHIANOZZA. (PIALLA) – Riferita a una donna dal seno piatto, va ricondotta alla leggendaria abilità di falegname di San Giuseppe. [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
– AFERESI [Caduta di una vocale o di una sillaba all'inizio di parola] - In “San Giuseppe ‘nc’ha passato ‘a chianozza” è contenuto un macroscopico errore: il gruppo 'nc'ha può solo leggersi ncà; per ottenere il previsto suono nci ha si deve scrivere nce ha o meglio ancora nce à o nci à usando il verbo avere senza la consonante diacritica h, ma con il più comodo accento (così come ‘giustamente e correttamente’ si insegnava nelle scuole sessant'anni fa); quanto poi quel segno d'aferesi (') messo prima di ‘nc’ esso è del tutto inutile ed inconferente essendo la proclitica ‘n’ consonante eufonica e non aferesi di ‘in’. [RAFFAELE BRACALE (2006), comunicazione personale]
SANTA CATERINA E SANTA BARBARA
Comme Catarenèa, accussì Barbarèa Comme Barbarèa, accussì Natalèa.
Il tempo meteorologico è lo stesso:
- a Santa Caterina (25 novembre, un mese prima di Natale)
- a Santa Barbara (4 dicembre)
- a Natale.
SANT’ANTUONO - "Sant’Antuono" è, nel dialetto napoletano, non il santo di Padova, ma Sant’Antonio Abate (17 gennaio) fondatore del monachesimo cristiano e il primo abate. Il Santo, solitamente raffigurato con accanto un maiale, è il protettore degli animali domestici e il 17 gennaio la Chiesa, per tradizione, benedice gli animali e le stalle. Sant'Antonio Abate è anche protettore dei pompieri, perché guariva dal "fuoco di Sant'Antonio" (herpes zoster), e perchè, nella leggenda, scese con il suo maialino nell’inferno, accese il suo bastone con il fuoco infernale, ritornò sulla terra e accese con questo una catasta di legna. In molte zone di Napoli e provincia, si accendono il 17 gennaio, i “focarazzi” (falò di S. Antonio).
SAN VITALE – Nell’antica chiesa di San Vitale a Fuorigrotta fu sepolto nel 1837 Giacomo Leopardi. Nel 1939, i resti di Leopardi furono spostati dalla Chiesa di San Vitale e portati al Parco Vergiliano, a Piedigrotta, nei pressi della tomba di Virgilio. All’ingresso dell’attuale chiesa, una lapide ricorda questo episodio. [LUIGI VEROLINO (2009), comunicazione personale]
SBERLEFFO – C’è sberleffo e sberleffo. Per esempio il “pernacchio” non è la “pernacchia”. Il primo può essere forte o debole, lungo o corto, massiccio o sdutto, aquilino o camuso: ma è sempre maschio, ma è costruttivo e solerte, ma insomma lavora. La seconda è molle e pigra, timida, bianca, sdraiata, è come un’odalisca sui tappeti: femmina, basti dire, uno sberleffo che don Pasquale usava solo nei casi irrilevanti, per esempio in risposta a un’intimidazione di pagamento dell’affitto, se non delle imposte. [da: GIUSEPPE MAROTTA, “L’oro di Napoli”]
SENO - ‘A femmena senza pietto è nu stipo senza piatte.
Cfr. "Una donna senza seno è un letto senza guanciale." [ANATOLE FRANCE, "La rosticceria della regina Pedoca"]
SIGNORE ‘E UNU CANNELOTTO – Si diceva così di chi pretendeva di essere nobile, senza averne i mezzi. Risale ai tempi in cui i palchi del teatro San Carlo erano illuminati con le candele nei candelabri. La direzione le noleggiava al pubblico e il loro prezzo era in base al numero delle candele noleggiate, che dipendeva anche dalla disponibilità economica dello spettatore.
SOLSTIZIO D’INVERNO - Il 21 dicembre (primo giorno d'inverno) è "il piu' corto dell'anno". Il Sole, nel suo moto apparente, raggiunge il punto più basso sotto l'equatore celeste. Non è più vero il detto popolare che individua nel 13 dicembre, Santa Lucia, il giorno con la notte più lunga:
Santa Lucia: 'nu passo 'e vallina; Sant'Aniello: 'nu passo 'e pucuriello. Santa Lucia (13 dicembre): un passo di gallina; Sant'Agnello (14 dicembre): un passo di agnello.
Non è più vero da quando papa Gregorio XIII, sentita una commissione di scienziati presieduta dal matematico Cristoforo Clavio, riformò il calendario giuliano (introdotto da Giulio Cesare) e cancellò dieci giorni per rimettere al passo il computo del calendario con i fenomeni astronomici. Il calendario gregoriano entrò in vigore il 15 ottobre 1582 (5 ottobre secondo il calendario giuliano).
STRAVINSKY E PICASSO – Furono fermati da una guardia mentre orinavano nella Galleria Umberto I. (…) Picasso stava realizzando le scenografie per quello che io ritengo il più grande tributo internazionale a Napoli e cioè il “Pulcinella” di Strawinsky [BIAGIO COSCIA sul “Corriere del Mezzogiorno”]
SUOCERA - A proposito della quale mette conto rilevare che nel dialetto napoletano si attua nei suoi riguardi una singolare diversificazione semantica, a seconda che si tratti della madre di o della madre di . Quest'ultima viene sic et simpliciter chiamata socra, mentre alla prima è riservato il più rispettoso appellativo di gnora, quasi . Essa è riguardata come colei che incarna il logico presupposto della continuazione della specie: a lei il privilegio - spesso esplicitamente sancito nei capitoli matrimoniali del tempo - di coabitare con gli sposi - (non è detto con quanto giubilo dei generi!), restando a loro carico ma collaborando in cambio al buon governo della casa e dedicandosi in particolare ai nipotini, per garantirne la più vigile e amorevole assistenza. [RENATO DE FALCO (1994), "La donna nei detti napoletani", Ed. Newton & Compton]
TARANTELLUCCIA
Cu 'ammore, é facile tutt' 'o ddifficile... Si ha da succedere, succedarrá!
[Versi di ERNESTO MUROLO - Musica di RODOLFO FALVO (1907)]
Confronta: “Nihil difficile amanti puto.” - Ritengo che nulla sia difficile per chi ama. - [CICERONE, “Orator”]
TEATRO SAN CARLO - "La prima impressione è d'esser piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l'anima rapita. Niente di più fresco ed imponente insieme - qualità che si trovano così di rado congiunte. (...) Entrando, la stessa sensazione di rispetto e di gioia. Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea." [STENDHAL (1817), “Roma, Napoli e Firenze”]
TEMPO - Ci sono paesi dove il tempo viene considerato un riferimento importante e altri, invece, dove viene sottovalutato. Negli Stati Uniti è denaro, nel Messico si spreca, in Svizzera si fabbrica, in India è come se non ci fosse, e a Napoli lo si snobba. Dalle mie parti, infatti, quando si dà un appuntamento a un amico si è soliti restare nel vago. "Ce vedimmo a via d'e sette" dicono i napoletani, che tradotto in lingua vuol dire: “Ci vediamo nei dintorni delle sette”. [LUCIANO DE CRESCENZO, “Tale e quale”]
TISSOTROPIA:
- SANTA PATRIZIA - Il suo sangue ‘diventa’ liquido nella Chiesa di San Gregorio Armeno ogni martedì mattina e il 25 agosto (onomastico).
- SAN GENNARO - Il suo sangue ‘diventa’ liquido nel Duomo di Napoli il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre (onomastico) e il 16 dicembre.
- SAN GIOVANNI (BATTISTA) - Il suo sangue ‘diventa’ liquido nella Chiesa di San Gregorio Armeno il 29 agosto. Qualche volta anche il 24 giugno (onomastico).
- SANT’ALFONSO (DE’ LIGUORI) - Il suo sangue ‘diventava’ liquido nella Chiesa di Santa Maria della Mercede (o della Redenzione dei Captivi) il 2 agosto (onomastico). Dopo il terremoto del 1980 il sangue è andato perduto.
- SAN LORENZO - Il suo sangue ‘diventava’ liquido nella Chiesa di San Lorenzo Maggiore il 10 agosto (onomastico). Attualmente il sangue è sempre liquido.
- SAN LUIGI (GONZAGA) - Il suo sangue ‘diventava’ liquido nella Chiesa del Gesù Vecchio il 21 giugno (onomastico) fino al 1950.
- SAN PANTALEONE - Il suo sangue ‘diventava’ liquido nella Chiesa di San Gregorio Armeno fino al 1950. Attualmente il sangue è sempre solido.
- SANTO STEFANO – Il suo sangue ‘diventava’ liquido nella Chiesa di Santa Chiara il 3 agosto ed il 26 dicembre (onomastico). Attualmente il sangue è sempre solido e si conserva nella Chiesa di San Gregorio Armeno.
[da: LUCIA MALAFRONTE - CARMINE MATURO, "Urbs sanguinum. Itinerario alla ricerca dei prodigi di sangue a Napoli"]
TOMBOLA - Nel 1734 il re di Napoli Carlo III di Borbone decise di ufficializzare il gioco del Lotto. Il frate Gregorio Maria Rocco si oppose. Il re la spuntò a patto che nella settimana di Natale il gioco fosse sospeso. Il popolo allora si organizzò da solo. I 90 numeri del lotto furono messi in “paniarielli” di vimini e così nacque la tombola. [dal “Corriere della Sera” (2007)]
TORNA A SURRIENTO - Nel 1902, il capo del governo italiano Giuseppe Zanardelli, diretto in Basilicata, si fermò a Sorrento. Guglielmo Tramontano, proprietario dell’albergo e in cui alloggiava e anche Sindaco, gli prospettò l’esigenza di avere un ufficio postale a Sorrento. Perché non se lo dimenticasse, i fratelli Gianbattista ed Ernesto De Curtis approntarono in poche ore la canzone "Torna a Surriento". Non era una canzone d’amore, ma un canto d’occasione con riferimenti al desiderato ufficio. Sorrento ebbe l’ufficio delle Poste e Gianbattista De Curtis rivestì di versi nuovi la musica, in occasione della festa di Piedigrotta.
TÒRTANO - Ciambella rustica tradizionale del Lunedì in Albis (da non confondere col “casatiello” che è dolce). [SERGIO ZAZZERA, “Modi di dire napoletani”]
TOTONNO ‘E QUAGLIARELLA
dimane forze ‘a lampa se putarria stutà (si potrà spegnere).
TRE SIRENE - Le Sirenuse (dette anche Li Galli) sono le isolette al largo di Positano. Qui, nella leggenda, vivevano le sirene (donne-pesce oppure donne-uccello). Si uccisero perché furono beffate da Ulisse. “Partenope” approdò dalle parti di Santa Lucia dove fu fondata Palepoli (Napoli). “Leucosia” a Punta Licosa presso Paestum e “Ligea” nel Golfo di Sant’Eufemia.
UNIVERSO - Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo. [STENDHAL (1817) “Rome, Naples et Florence”]
VRENZOLA - Di per sé la voce 'vrenzola' nel suo significato primo di straccio e poi in quello estensivo di persona, donna mal fatta o mal ridotta etimologicamente è da ricollegarsi ad una 'brenniciola' → 'bren(ni)ciola' → 'brenciola' diminutivo di un’originaria 'brenna' corrispondente (vedi il Du Cange) ad un basso latino 'breisna' = rozza, vile, senza valore, ma non manca chi fa derivare 'brenna' dall'antico francese 'braine' (giumenta) sterile e quindi priva di valore. [RAFFAELE BRACALE (2011), comunicazione personale]
ZARELLARA - La zarellara (anche al maschile: “zarellaro”) vendeva caramelle, lecca lecca, gomme da masticare, giocattolini ed eventualmente di nascosto, sigarette di contrabbando sull’uscio del suo basso. La parola deriva da “zagarella” (striscia scura sul dorso dei cavalli), in napoletano indicante il nastro, la fettuccia di seta, e quindi la merciaia.