Lettera, ancora attualissima, di Giovanni Verolino (mio Padre) pubblicata su "L'opinione delle Libertà" il 21 febbraio del 2003
Spesso leggo vostri interventi giornalistici o ascolto partecipazioni a programmi televisivi. Ambedue mi sembrano assai efficaci. D’altro canto se non vado errato mio figlio, Gerardo Verdolino, era in ottimi rapporti con voi e spesso collaborava al vostro giornale. Sono un vecchio avvocato, che non esercita più.
Sono stato per molto tempo nel Psi ma non penso minimamente all’eventualità di votare per un Amato o un Intini, detestabili, voto per il Polo delle Libertà. Nel Psi ero nella corrente giolittiana, ma il mio pensiero è stato sempre fedele agli insegnamenti del Palamidone e non del Palamidino. Quest’ultimo, al pari di altri ex comunisti, è stato tra i primi a sentire il richiamo della foresta “rossa” diventandone un sostenitore.
Ricordo che il vecchio di Dronero insegnava: “Meglio un briccone al potere e non un brocco”. Berlusconi appartiene alla prima categoria, ma spesso fa cose degne della seconda. Ad esempio: di fronte alla sentenza a sezioni unite della Cassazione nei processi di Milano da trasferire ad altra sede, mi sarei fermato ad esaltare le legge Cirami, la cui validità, anche nella detta decisione, ancorché pronunciata in senso contrario alle aspettative di Previti e del Cavaliere, rimane una vittoria delle forze di destra ed un’autentica debacle per i nemici del governo liberale.
Berlusconi è un grande comunicatore, ma è prolisso, mentre a me pare che il grande comunicatore può essere anche un oratore sobrio. Basti pensare ai discorsi di un leader, senza partito, come il menzionato Giovanni Giolitti, che diceva e usava le parole come pietre, né ha avuto paura della persecuzione giudiziaria, per cui gli piaceva a tal proposito, affermare che la legge, specie quella penale, per gli avversari si applica e per gli amici s’interpreta.
Nel dopoguerra ho assistito all’Università di Napoli alla grande manifestazione organizzata all’ingresso delle truppe alleate, nella quale il rettore Adolfo Omodio diede la parola a Benedetto Croce, la cui elevata orazione ebbe l’elogio di giornalisti come Agostino sugli Espinosa, che - nel suo libro Il Regno del Sud - scrisse di un pensiero umano, svolgente uno sforzo dialettico, avulso della realtà, che abitava nel generale silenzio della sala, piena di generali, ammiragli, intellettuali della grande tradizione napoletana.
Così come ricordo l’atmosfera di mestizia dell’aula della Prefettura di Salerno, quando comparve il piccolo re Vittorio Emanuele e rassegnò la propria abdicazione. Egli portava un pastrano militare senza gradi. In quel tempo vivevano, Carnelutti, Calamandrei (Piero) Arturo Carlo Iemolo, Guido De Ruggiero ed altri.
Ora, da quando non esercito, il mio ‘passatempo’ invece è la lettura di libri e giornali.